Disegnare il desiderio
“… e io non sento più nessun piacere, nessun desiderio.”
Lei mi piace tantissimo. Ha tutte le caratteristiche dell’amica con cui puoi parlare di tutto e anche oltre, un po’ perché le serve un po’ perché si diverte. Se ci fossimo conosciute in altre circostanze saremmo divenute molto amiche. L’universo al momento ha altri piani e come sempre va bene così.
“Mi disegni il desiderio?” le dico allungandole le biro colorate, “anzi no, facciamo le cose ben fatte, prendo i pennarelli.”
Mi alzo.
Cerco la scatola di pennarelli più ricca di colori che ho.
Vorrei sdraiarmi sul parquet con lei e disegnare insieme. Vorrei prendere due gazzose, i pop corn e mettere la videocassetta di Twin Peaks o roba simile.
Vorrei tornare indietro negli anni e divertirmi con lei a disegnare il temibile desiderio mentre parliamo delle nostre disperazioni adolescenziali e di quanto fa schifo il rapporto tra genitori e figli quando si è giovani.
Mi sta fissando. Ha gli occhi lucidi. Le gote rosse.
Non ci sono pop corn né videocassette e i nostri genitori non ci fanno neanche più arrabbiare, la tenerezza ha preso il posto della rabbia. È tutto più dolce con una nota di amarezza in sottofondo: ricorda che qualcosina c’è ancora da migliorare, sempre meno, va sempre meglio.
Credo che lei stia esplodendo. Forse mi manderà a quel paese. È un rischio che nel mio mestiere mi prendo anche se mi spiace.
Vedere le potenzialità umane quando sei rimasta tu e altri otto sul pianeta a coglierle è faticoso ma il mio entusiasmo patologico mi salva sempre.
“Cosa vuol dire disegnare il desiderio? Io fatico a capire. Non posso disegnare qualcosa che non capisco. Posso disegnarti una casa.”
Prendo tre pennarelli senza guardare, sono tutti rosa ma di tonalità diverse.
“Ecco, ora ti disegno il desiderio, così, senza pensare”
La mia mano inizia a muoversi tracciando dei vortici. Vorrei ricalcarli fino a bucare il foglio, vorrei far sprofondare la carta sotto la punta dei pennarelli fini ad arrivare ai miei pantaloni bianchi e continuare a fare dei vortici finché non sento di essere sfinita. Vorrei urlare come Mel Gibson in Braveheart “Libertààà”
Ovviamente non posso.
Non riesco a capire se ciò che sento è mio, suo, forse è di entrambe.
“Io non riesco. Davvero.”
È molto desolata. Mi piace sempre di più. È vera.
“Va bene. Grazie per esserti fermata. Grazie per aver condiviso con me questa difficoltà che parla molto più di un compito svolto perché -ti dice Daphne di farlo-. Qui non sei a scuola, non ci interessano i voti. Qui siamo interessati al sentire. Cosa senti?”
“Sono mortificata. Perché non so farlo. Perché …”
Ed ecco che finalmente esce tutta la verità. Oltre alle spiegazioni, alle domande, alle tecniche che potrei attuare.
E lei finalmente si racconta, si apre, mi permette di conoscere il suo dramma che è il dramma di tanti, troppi.
Un dramma fatto di austerità e silenzi, di rigidità e punizioni.
“Come va adesso?”
“Meglio”
“Bene. Vai a casa e vediamo cosa succede nei prossimi giorni. Ricordati che il desiderio non puoi capirlo, puoi sentirlo. Ed è proprio quando cerchiamo di capirlo che non possiamo sentirlo.”
Mi chiedo se in questa frase sono stata troppo contorta ma l’ho detta con amore, qualcosa di buono le arriverà. A prescindere da tutto.
Ci salutiamo.
Guardo i pennarelli sul tavolino dello studio… vorrei disegnare
Entra l’ultimo assistito del giorno.
Rimando le mie doti artistiche a un altro momento… eppure qui eppure ora ero ispiratissima
20 febbraio 2025
Dialoghi tra Daphne e i consultanti