Dipendenza dal piacere altrui
La necessità di piacere agli altri sfavorisce il processo di lavoro su sé. Per logica, quando la mia intenzione è quella di piacere all’altro, sarò concentrato sul rendermi appetibile a quel soggetto, non sarò attento all’ascolto di me ma verso ciò che è esterno a me (che poi è il riflesso di me ma non incasiniamoci ulteriormente, è solo per farvi capire che ragioniamo e viviamo al contrario).
I pato-social sono proprio basati su questo principio: il “like”alimenta la smania di piacere fittizio (lo fa anche a livello biologico creando una dipendenza) alternata dall’ansia di non piacere.
Ora, vivendo i più sui social, potete ben immaginare quanto in generale ci si stia allontanando sempre più dai nostri reali sentimenti, piaceri, dalle nostre sensazioni, percezioni, etc…
Inoltre tutto ciò genera una visione distorta, irreale e un po’ malata dell’Umano, ma ancora peggio dell’amico, del parente.
La soluzione ideale sarebbe quella di prendere coscienza di ciò e con umiltà chiedersi quali sono le intenzioni nel momento in cui agiamo in un determinato modo ma anche quando pubblichiamo qualcosa. Interrogarsi sul perché stiamo facendo qualcosa e sopratutto per chi è di grande aiuto se si vuole andare verso un sentire più reale delle proprie necessità. E conseguentemente essere più soddisfatti nel cuore, seppur meno nell’ego.
“Lo faccio per me, perché voglio trasmettere qualcosa agli altri, perché voglio accontentare qualcuno o perché voglio farmi vedere?”
“Lo pubblico per me, perché ho un messaggio da portare -inteso anche come una bella foto, immagine- oppure bramo l’essere visto e approvato?”
Buona risposta
Daphne Sangalli